S(u)ono rock e vado oltre la musica

fuori, oltre ... Über rock!


Quando suono non sento la musica … divento musica io stesso. Il mio corpo inizia a vibrare e la mia mente corre lungo le strade che portano a una libertà quasi onirica, lisergica. Lo spazio diventa “leggero” e mi concede di ondeggiare in dimensioni s-conosciute fuori dal palco.
Il tempo si colora di “non tempo” e mi corteggia con in-finiti frammenti di brivido lungo la schiena, quasi pulviscolare frammentarsi delle paure quotidiane, catartico sgretolarsi delle stupidità che scivolano via, perdendo peso.

È sempre un TU che ho di fronte, un tu che mi guarda con occhi sgranati o chiusi, suadenti o in-ferociti, sorpresi o malinconici. È un tu che sente e risponde… se grida con me è con-divisione, altrimenti è un punkeggiante banchetto tra “sputi” di libertà. Poco importa. Io suono per far vibrare il mio corpo… se poi riesco a “drizzare” i capelli o gli animi di chi mi ascolta è sorprendente meraviglia, ri-suonata solo dalla mera-voglia di fare rock col mio fegato, i miei palpiti, la mia pelle, il mio dolore, il mio “sentire”. È una dimensione sconvolgente, in cui anche il coro degli angeli potrebbe far pace con quello dei demoni, dimensione che lenisce le ferite, aumenta i decibel della gioia, distingue l’indistinto e annulla le differenze dif-ferendo la violenza conosciuta, ormai esplosa in emozione violenta tra le s-concertanti, frenetiche pulsazioni di un vivere “fuori”, oltre… uber-rock!!!!

S(u)ono  rock e vado oltre la musica

fuori, oltre... Über rock!

Quando suono non sento la musica … divento musica io stesso. Il mio corpo inizia a vibrare e la mia mente corre lungo le strade che portano a una libertà quasi onirica, lisergica. Lo spazio diventa “leggero” e mi concede di ondeggiare in dimensioni s-conosciute fuori dal palco.
Il tempo si colora di “non tempo” e mi corteggia con in-finiti frammenti di brivido lungo la schiena, quasi pulviscolare frammentarsi delle paure quotidiane, catartico sgretolarsi delle stupidità che scivolano via, perdendo peso. È sempre un TU che ho di fronte, un tu che mi guarda con occhi sgranati o chiusi, suadenti o in-ferociti, sorpresi o malinconici. È un tu che sente e risponde… se grida con me è con-divisione, altrimenti è un punkeggiante banchetto tra “sputi” di libertà. Poco importa. Io suono per far vibrare il mio corpo… se poi riesco a “drizzare” i capelli o gli animi di chi mi ascolta è sorprendente meraviglia, ri-suonata solo dalla mera-voglia di fare rock col mio fegato, i miei palpiti, la mia pelle, il mio dolore, il mio “sentire”. È una dimensione sconvolgente, in cui anche il coro degli angeli potrebbe far pace con quello dei demoni, dimensione che lenisce le ferite, aumenta i decibel della gioia, distingue l’indistinto e annulla le differenze dif-ferendo la violenza conosciuta, ormai esplosa in emozione violenta tra le s-concertanti, frenetiche pulsazioni di un vivere “fuori”, oltre… uber-rock!!!!

Traiettoria del proiettile

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