CAPITOLO 2: INTERVISTA AL DOGMISTICO
Deliri di onni-CREDENZA
“Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale”
Critica della ragion pratica, A 54
La verità è il mio orizzonte e il mio limite.
Sono proteso verso di lei come l’arciere che tende l’arco nella speranza di fare centro.
Io credo, come lui, di “colpire il bersaglio” pur sapendo che la speranza non è certezza, tanto meno se è auto-certificata dalle mie convinzioni! Gli infiniti attimi che il sudore impiega a percorrere ogni centimetro del viso, prima di scoccare la freccia, somigliano a quelli che mi separano dalla verità.
Il mio desiderio non è “Aver ragione”, anche perché mai violenterei la verità di nessuno! Spero “solo” che ciò in cui credo mi SOS-tenga sempre, soprattutto nei momenti bui, quelli in cui lo sconforto diviene assenza totale di aiuto o con-passione… S-conforto .
Che io sia filosofo, scienziato, matematico o religioso poco importa: non ho pretese da “dogmautico“, ma orizzonti da dogMistico.
Riconosco la mia condizione di “gettatezza” in un sistema imperfetto, senza con-solarmi, tuttavia, con alibi di sorta, anche perché la non perfezione del “sistema” è, forse, figlia dell’interpretazione negativa-mente banalizzata dell’imperativo categorico kantiano.
Ognuno ha le sue pseudo-certezze, ma io non pretendo di imporle agli altri perché credo, e ci credo fermamente, che il QUID che determina la realtà, qualunque esso sia, compreso il niente o il caso, sia comunque oltre-passante la mia (forse di tutti) in-capacità di essere assoluto.
Non amo vestire i panni di “paradogma del mondo” ma, so-spinto da una forza magnetica e magmatica, provo ad accarezzare la verità degli altri – quella che non fa torto alla libertà altrui, sia chiaro! – con lo sguardo di un padre che accetta il figlio in quanto figlio: uno sguardo nel quale ogni traccia di in-tolleranza perde la sua forza, in cui ogni sciocco tentativo di imposizione del proprio “credo” si sgretola, inevitabilmente, per comprovata “finitudine”.
Uno sguardo in cui ogni violenza si guarda allo specchio della stupidità e, sospirando amaramente, sorride di sé.
To be continued...
CAPITOLO 2: INTERVISTA AL DOGMISTICO
Deliri di onni-CREDENZA
“Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo come principio di una legislazione universale”
Critica della ragion pratica, A 54
La verità è il mio orizzonte e il mio limite.
Sono proteso verso di lei come l’arciere che tende l’arco nella speranza di fare centro.
Io credo, come lui, di “colpire il bersaglio” pur sapendo che la speranza non è certezza, tanto meno se è auto-certificata dalle mie convinzioni!
Gli infiniti attimi che il sudore impiega a percorrere ogni centimetro del viso, prima di scoccare la freccia, somigliano a quelli che mi separano dalla verità. È un sentiero lungo, tortuoso e mai privo di cadute, ma è affascinante e ricco di pulpitazioni: continua ricerca tra attesa e ascolto, conferme e smentite.
Il mio desiderio non è “Aver ragione”, anche perché mai violenterei la verità di nessuno. Spero “solo” che ciò in cui credo mi SOS-tenga sempre, soprattutto nei momenti bui, quelli in cui lo sconforto diviene assenza totale di aiuto o con-passione… S-conforto .
Che io sia filosofo, scienziato, matematico o religioso poco importa: non ho pretese da “dogmautico“, ma orizzonti da dogMistico. Riconosco la mia condizione di “gettatezza” in un sistema imperfetto, senza con-solarmi, tuttavia, con alibi di sorta, anche perché la non perfezione del “sistema” è, forse, figlia dell’interpretazione negativa-mente banalizzata dell’imperativo categorico kantiano.
Ognuno ha le sue pseudo-certezze, ma io non pretendo di imporle agli altri perché credo, e ci credo fermamente, che il QUID che determina la realtà, qualunque esso sia, compreso il niente o il caso, sia comunque oltre-passante la mia (forse di tutti) in-capacità di essere assoluto. Non amo vestire i panni di “paradogma del mondo” ma, so-spinto da una forza magnetica e magmatica, provo ad accarezzare la verità degli altri – quella che non fa torto alla libertà altrui, sia chiaro! – con lo sguardo di un padre che accetta il figlio in quanto figlio: uno sguardo nel quale ogni traccia di in-tolleranza perde la sua forza, in cui ogni sciocco tentativo di imposizione del proprio “credo” si sgretola, inevitabilmente, per comprovata “finitudine”. Uno sguardo in cui ogni violenza si guarda allo specchio della stupidità e, sospirando amaramente, sorride di sé.