FALA BOGU
Fala Bogu
(grazie a Dio)
Terra rossa dell’Istria, bagnata di lacrime antiche,
ancora ti apri ricca di promesse
tra i boschi di querce frementi di paure senza odio,
paure sepolte nei cuori di chi è rimasto,
nascoste nei ricordi di chi è andato.
Palpito sempre nuovo di inconfessati segreti,
di sentimenti non… esiliati;
profumo buono e caldo di casa,
amara malinconia di frontiera,
ombra cupa di morte,
viaggio nell’ignoto di destini incrociati.
E tu, Pola amata, spogliata, muta
nello splendore delle tue silenziose rovine;
punta preziosa di duro diamante
nell’estrema punta dell’indifeso triangolo rosso;
sospirato orizzonte di tutti gli attesi ritorni,
TU piangevi il desolato andare senza meta dei tuoi figli!
Cerco il calore delle tue strade in festa,
il canto del tuo mare di cobalto,
il soffio amico della bora che accarezza i tuoi lucidi tetti
e la tua candida ARENA, fedele custode di glorie passate,
monumento eterno della tua orgogliosa fierezza,
della tua sovrana, imperitura bellezza.
L’alito della libertà negata,
l’illusione di pace in tempo di pace, prolungata in un’agonia di silenzi,
sono nei ricordi sonori dei martelli che picchiano
sulle povere cose ammassate nei carri traballanti verso il porto.
Di quell’illusione, nutrita di speranze rubate,
anche i morti facevano parte e chiedevano
di essere lì, fra quelle reliquie fradicie di pioggia,
stretti in un ultimo abbraccio d’amore.
Tra quelle vite spezzate un canto sommesso,
interrotto, lontano s’insinua tra i portoni sprangati e le finestre sbarrate,
si diffonde nei cortili deserti,
in quell’amara visione di assenza e di violento abbandono.
Il canto s’intreccia col pianto e gli addii:
già nostalgico, già pervaso di incredulo, mesto dolore,
già terribilmente… “oltre”.
La mula de Parenzo… Canzone di bandiera, vessillo identitario,
eco struggente di un dolce passato che non vuole… fuggire.
E poi?
Poi esilio perenne. Poi, per molti, l’abbraccio tenero e amico
del fratello italiano del Sud,
anche lui povero di altre miserie,
ma capace di accogliere senza chiedere:
volto che risponde al bisogno di vita nuova;
volto ignoto che “ ri-significa” il respiro
della libertà sognata, avvolta nello spazio della fuga,
cullata sulle dure tavole dell’infaticabile nave della salvezza,
arca di una nuova alleanza, carica di frammenti di vita,
di cose lasciate e perdute,
di speranze calpestate e derise.
Libertà: respiro sacrosanto dell’anima,
soffocato nel grido straziante
della carne strappata ai rovi e agli sterpi e,
oltraggiato dalle grida aguzzine di assetati carnefici,
dal baluginare minaccioso dell’arma spietata
sulla fronte innocente, sottratta in un infinito istante di luce
al gioco beffardo di una morte annunciata.
Cara verde valigia, viatico della speranza,
scrigno ricolmo di sogni inespressi,
di passioni non spente,
tu non hai dimenticato tra i ricordi
custoditi con tenera cura di madre
le foto delle madri e dei padri,
dei fratelli e delle sorelle
per colmare la solitudine dei giorni a venire.
Non hai dimenticato un pugno di terra rossa
e la pietra bianca dei tuoi secchi recinti:
segno di continuità e simbolo delle radici.
Pegno e impegno di memoria perenne.
Anna
FALA BOGU
Fala Bogu
(grazie a Dio)
Terra rossa dell’Istria, bagnata di lacrime antiche,
ancora ti apri ricca di promesse
tra i boschi di querce frementi di paure senza odio,
paure sepolte nei cuori di chi è rimasto,
nascoste nei ricordi di chi è andato.
Palpito sempre nuovo di inconfessati segreti,
di sentimenti non… esiliati;
profumo buono e caldo di casa,
amara malinconia di frontiera,
ombra cupa di morte,
viaggio nell’ignoto di destini incrociati.
E tu, Pola amata, spogliata, muta
nello splendore delle tue silenziose rovine;
punta preziosa di duro diamante
nell’estrema punta dell’indifeso triangolo rosso;
sospirato orizzonte di tutti gli attesi ritorni,
TU piangevi il desolato andare senza meta dei tuoi figli!
Cerco il calore delle tue strade in festa,
il canto del tuo mare di cobalto,
il soffio amico della bora che accarezza i tuoi lucidi tetti
e la tua candida ARENA, fedele custode di glorie passate,
monumento eterno della tua orgogliosa fierezza,
della tua sovrana, imperitura bellezza.
L’alito della libertà negata,
l’illusione di pace in tempo di pace, prolungata in un’agonia di silenzi,
sono nei ricordi sonori dei martelli che picchiano
sulle povere cose ammassate nei carri traballanti verso il porto.
Di quell’illusione, nutrita di speranze rubate,
anche i morti facevano parte e chiedevano
di essere lì, fra quelle reliquie fradicie di pioggia,
stretti in un ultimo abbraccio d’amore.
Tra quelle vite spezzate un canto sommesso,
interrotto, lontano s’insinua tra i portoni sprangati e le finestre sbarrate,
si diffonde nei cortili deserti,
in quell’amara visione di assenza e di violento abbandono.
Il canto s’intreccia col pianto e gli addii:
già nostalgico, già pervaso di incredulo, mesto dolore,
già terribilmente… “oltre”.
La mula de Parenzo… Canzone di bandiera, vessillo identitario,
eco struggente di un dolce passato che non vuole… fuggire.
E poi?
Poi esilio perenne. Poi, per molti, l’abbraccio tenero e amico
del fratello italiano del Sud,
anche lui povero di altre miserie,
ma capace di accogliere senza chiedere:
volto che risponde al bisogno di vita nuova;
volto ignoto che “ ri-significa” il respiro
della libertà sognata, avvolta nello spazio della fuga,
cullata sulle dure tavole dell’infaticabile nave della salvezza,
arca di una nuova alleanza, carica di frammenti di vita,
di cose lasciate e perdute,
di speranze calpestate e derise.
Libertà: respiro sacrosanto dell’anima,
soffocato nel grido straziante
della carne strappata ai rovi e agli sterpi e,
oltraggiato dalle grida aguzzine di assetati carnefici,
dal baluginare minaccioso dell’arma spietata
sulla fronte innocente, sottratta in un infinito istante di luce
al gioco beffardo di una morte annunciata.
Cara verde valigia, viatico della speranza,
scrigno ricolmo di sogni inespressi,
di passioni non spente,
tu non hai dimenticato tra i ricordi
custoditi con tenera cura di madre
le foto delle madri e dei padri,
dei fratelli e delle sorelle
per colmare la solitudine dei giorni a venire.
Non hai dimenticato un pugno di terra rossa
e la pietra bianca dei tuoi secchi recinti:
segno di continuità e simbolo delle radici.
Pegno e impegno di memoria perenne.
Anna
Mi sembra autobiografia vissuta accolta e restituita. Autobiografia di fede e sentimenti, di convinzioni serene profonde, di amore che vive e fa vivere.
Forse manca la gioia di avere arricchito luoghi e culture diverse e forse altre. Non esilio ma respiro di appartenenza senza confini. anticipo e segno di eternità concreta.
Che dono prezioso!
Leggere una testimonianza, percepire il dolore e accoglierlo nella dimensione della “gratitudine”. L’orrore non macchia la fede, non autorizza a provare odio, ma spinge alla preghiera, all’umile rimettersi nelle mani misericordiose. Alla vista si sostituisce la “visione” e la speranza si fa esempio. Ammirazione e commossa partecipazione non sono sufficienti: il messaggio di pace costruito sul dolore, certamente ineliminabile, si piega alla “logica” di un pensiero più alto, quello della gioia per la “vita nuova” che “ri-significa il respiro della libertà sognata”. Grazie. Grazie per la testimonianza. Grazie per il messaggio di Fala Bogu.
NEL LEGGERE MI SCOPPIAVA IL CUORE. GRAZIE
Istria salve!
Ruggente procella
mai turbi il sereno tuo ciel,
ma di pace e di gioia la stella
a te splenda benigna e fedel.
Istria Salve!
(Inno all’Istria di Giorgini- Cieva)
Bisogna proprio avere un cuore colmo d’amore e traboccante di fede per sublimare una tragedia immane, per la quale neanche un nome , che fosse minimamente in grado di esprimere tutto lo strazio in essa racchiuso, era stato mai neanche coniato! Bisogna proprio avere anima limpida e pura, per saper trasformare tragiche vicende in un’ode che si fa preghiera sommessa, pervasa da profonda pietà in ogni punto e direttamente dettata dal perdono che, elevando l’uomo al di sopra dell’odio e della vendetta , lo catapulta in una dimensione divina. Ma lo scritto , come la stessa autrice, riduttivamente , definisce questo sentito , commosso omaggio al “ desolato andare senza meta “ dei figli istriani e a coloro che son rimasti in quel luogo “ dell’illusione di pace in tempo di pace” è , forse, soprattutto un canto d’amore per una terra martoriata, l’invocazione alla quale , con i suoi toni struggenti, pur nella loro epica solennità, le restituisce tutta intera la sua nobiltà e fierezza , minimamente scalfite da vicende tragiche come poche, che , pur in un quadro di disumana sofferenza, non hanno avuto il potere di cancellare l’essenza sua più profonda ed i valori suoi più autentici; ed è anche il canto d’amore di una fratellanza, forte e sentita, affettuosamente proclamata, e di un’appartenenza, orgogliosamente rivendicata, per una terra amica e calorosa che, pur “povera di altre miserie”, ha voluto spalancare le porte del suo cuore ad altri suoi figli, nati , forse per mera casualità , in luoghi lontani.